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Dalla carta al digitale: memorie in movimento

A Sherwood Festival la presentazione dell’archivio digitale di Open Memory e l’anteprima del libro “Carte irrequiete. La memoria dei movimenti”, con il co-autore Lorenzo Pezzica.

“Siamo la storia che trasforma il presente”. Il manifesto alle spalle dei microfoni racconta già cos’è il Centro Studi Open Memory e la sua finalità. Non un’operazione di nostalgia passatista, ma uno strumento per non perdere la memoria e orientarsi al futuro.

Martedì 2 luglio si è tenuto al Sherwood Festival un doppio momento sul tema della memoria di movimento. La presentazione dell’ultimo traguardo del Centro Studi e l’anteprima del libro Carte irrequiete. La memoria dei movimenti, scritto da Lorenzo Pezzica insieme a Federico Valacchi, dedicato agli archivi di movimento e al loro ruolo nell’archivistica, in uscita nei prossimi mesi per Eleuthera.

Presentazione del sito web e dell’archivio digitale consultabile di Open Memory

“Io sono convinto – dice Antonio Pio Lancellotti aprendo il talk – che mai come in questo momento storico dobbiamo aggrapparci alla nostra storia”. L’approccio è quello di uno storico impegnato, come Marc Bloch, che analizza “il passato in funzione del presente e il presente in funzione del passato”, attribuendo alla “memoria collettiva” un ruolo cardine nella risoluzione dei “problemi del presente”. Per questo è fondamentale oggi analizzare le sedimentazioni dei movimenti. Dalla sua fondazione nel maggio 2021, l’archivio ha compiuto molte tappe: è stato aperto al pubblico nel dicembre 2023 ed è stato consultato da studiosi e appassionati. Dopo la presentazione, lo scorso anno a Sherwood Festival, del podcast che racconta l’inizio degli anni ’80 a Padova, viene ora presentata da Walter Zoccarato la digitalizzazione dell’archivio.

L’obiettivo di questo nuova traguardo, nella sua prima versione, è quello di rendere fruibile online il grande materiale presente fisicamente nella storica sede di vicolo Pontecorvo. Il lavoro è stato gestito, come tutto l’archivio, collettivamente. La prima difficoltà è stata la quantità e la diversità dei documenti, sia cartacei che multimediali. La scelta è stata quella di cercare di garantire un’uniformità di visione. La digitalizzazione è però un lavoro ingente, e ad oggi si è ancora all’inizio (è stato caricato circa il 2% del materiale disponibile fisicamente).

Nella digitalizzazione si è data precedenza ai fondi, alle donazioni che hanno arricchito l’archivio. Si è inoltre deciso di dividere il materiale in sette categorie: documenti, audio, video, riviste e periodici, emeroteca, biblioteca e immagini. L’obiettivo è quello di costruire una scatola valida, un portale effettivamente utile e fruibile a chi ne è interessato. Il giudizio di chi utilizzerà l’archivio è quindi fondamentale. La struttura rispecchia così l’organizzazione dell’archivio, frutto della discussione.

Anteprima di Carte irrequiete

La discussione continua poi con Lorenzo Pezzica, storico e archivista, sul suo libro in fase di pubblicazione Carte irrequiete.

Centrale nel testo è l’immagine di uno stato di natura dell’archivio, in cui si esprime la natura di chi lo fa. Sulla natura dei materiali non ancora archiviati Pezzica sottolinea come nel bisogno di chi produce non ci sia mai l’intenzione di farne archivio. Gli archivi nascono quindi sempre dalle persone, dalle loro azioni e pensieri. Per questo centrale nel libro è la vitalità degli archivi, soprattutto di quelli che sfuggono alla dottrina dell’archivistica. Le ragioni degli autori sono quindi due: interrogarsi su questa “archivizzazione irrequieta” e la rottura che pone con la disciplina tradizionale.

L’archivistica si struttura in ambito pubblico nell’800, sotto il controllo del Ministero degli Interni – rendendo esplicito il valore politico del controllo della memoria – fino al 1974, con la fondazione del Ministero dei beni culturali. Gli archivi di movimento sfuggono però a questa logica. Non nascono da un bisogno di conservazione, ma di fruizione, di rendere presente la memoria. Gli archivi in questo senso sono sempre del presente. A maggior ragione per dei movimenti che non si sono conclusi nella storia, ma hanno continuato e continuano a vivere.

Carte irrequiete insiste sull’idea che l’archivio di movimento è in sé fluido e lontano dai protocolli. L’archivistica dà degli orizzonti, ponendo il rischio di rimanere bloccati nelle forme. Gli archivi di movimento vengono tendenzialmente fatti rientrare nella macrocategoria degli archivi privati, vicini agli archivi di persona. Emerge quindi la falsità della fantasia avalutativa alle spalle dell’idea di archivio neutro. Prima della carta c’è la persona. La stessa carta ha la finalità di agire, e solo poi si decide di non disperderla. La memoria deve quindi essere attuale, resa attiva. Centrale negli archivi è il dimenticare conservativo, il ritrovamento di documentazione dimenticata. È quindi il presente che deve decidere di rifarli vivere. Bisogna quindi sapersi approcciare alle carte e alle persone.

L’archivio appare così un’opera di montaggio, fatto dalle persone ma anche dal caso, dai casi. La polisemia del termine archivio è andata oltre la definizione accademica, oltre l’istituzione che conserva le carte Il discorso c’è da tempo. Pezzica evidenzia la necessità di trasvalutare, di dare un nuovo valore alle carte e alla loro conservazione, alle persone che fanno gli archivi. Bisogna sapere leggere le fonti in contropelo. Oggi ci sono altre e nuove fonti, che danno la possibilità di sguardi diversi sulla storia. L’archivio per questo non è mai finito e sempre di parte. Claudio Pavone, importante storico e archivista, sosteneva che un archivio non nasce da solo ma viene prodotto da un soggetto produttore. Questa è una formula che nasconde la vitalità di chi fa. Ci sono tanti produttori e conservatori e il ragionamento tecnico è destinato a saltare. Chi si riconosce nell’archivistica attiva cerca di spingere questa direzione, facendo emergere forme come l’attivismo archivistico, il riconoscimento che fare archivio non è museo ma fare politico.

Il punto di equilibrio dell’archivio tra il suo ruolo di conservatore della memoria e di strumento politico di attivazione sta nella fruizione. È necessaria l’idea che il materiale sia attuale, che lo sguardo al passato serva per capire il presente e progettare. Da questo punto di vista ciò che differenzia davvero gli archivi di movimento da quelli pubblici è la prospettiva. Quello dei primi è un approccio conflittuale, in contrasto al potere, di fronte a quei tanti archivi che invece sono il potere.

Interrogato su quali possano essere le conseguenze della digitalizzazione di un archivio irrequieto, Pezzica sottolinea come la rivendicazione di avere tanti approcci archivistici non debba significare la rinuncia alla contestualizzazione. Il digitale presenta questo rischio. Mentre nella visione fisica si arriva alla fonte solo dopo essere entrati nell’archivio, la visione digitale è definita come pornografica, di documenti nudi e crudi. Per questo si deve rendere il digitale il più vitale possibile, facendo emergere le tracce e contesti in cui i documenti sono.

 

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